di Oscar Wilde
con Edoardo Ciufoletti, Andrea Iarlori, Roberta Tenuti, Elena Lodola, Paola Russo, Giuliano Esperati, Stefano Sarra, Andrea Ceravolo
scene e costumi Erika Cellini
aiuto regia Roberta Russo
regia Andrea Pergolari
È la classica commedia degli equivoci in tre atti di Oscar Wilde: il serio (ma orfano) Jack Worthing è innamorato di Gwendolen Fairfax, cugina del suo amico Algernon Moncrieff, a sua volta innamorato di Cecily Cardew, pupilla di Jack. Per una serie di circostanze, entrambi gli amici si presentano alle due donne con il nome di Ernest, generando una girandola di equivoci che mettono in dubbio la rispettabilità della buona società inglese di fine ottocento.
È una commedia fondata sulla matematica delle battute, sul serrato scambio di opinioni che acquistano valore tanto più divagano e si appuntano in aforismi e sentenze micidiali. Il lavoro segue integralmente il testo di Wilde, accettando totalmente lo spirito corrosivo dell’autore inglese.
NOTA DI REGIA
Non si può comprendere a fondo la commedia di Wilde, se non si parte dal presupposto che l’intera struttura degli equivoci si fonda su un gioco di parole intraducibile in italiano: l’omofonia tra il nome proprio Ernest e l’aggettivo earnest (che ha il significato di “affidabile”, “assennato”, “onesto”).
L’impossibilità dell’applicazione di questo gioco di parole nella nostra lingua ha creato grossi problemi di traduzione e di adattamento, a partire dal titolo. La traduzione letterale esigerebbe che la commedia si intitolasse “L’importanza di essere Onesto”, ma Onesto non è un nome proprio italiano. La scelta che hanno operato alcuni traduttori, di modificare il nome Ernesto in Franco, non ci trova d’accordo: essere “franco” è ben diverso dall’essere “onesto”.
Trovandoci nella necessità (e nella difficoltà) di scegliere, abbiamo quindi scelto di utilizzare il titolo più tradizionale, perché il più conosciuto ed usato dallo spettatore italiano. E nello stesso tempo vi esortiamo ad avere attenzione: ogni volta che i personaggi fanno riferimento al nome “Ernest”, è all’onestà del personaggio che fanno riferimento. Come se tutta l’essenza della persona fosse in un nome e non nelle azioni e nel comportamento. Come se tutto si fermasse sulla superficie delle cose.